Chi mi segue dall’inizio-inizio ovvero una decina d’anni (sarà rimasto qualcuno???) sentirà sapore di deja-vu, ma anche di ricordo ben lontano, giacché di mesi con un’alimentazione vegana ne ho fatti ben più di uno, ma erano anche cinque anni che non succedeva che decidessi di farlo nuovamente per un periodo così lungo. Nell’ultimo periodo sono tornata a includere molti più alimenti e pasti completamente vegetali all’interno della mia quotidianità, e la scelta di provare a rimettersi alla prova in occasione del Veganuary è stata, in realtà, piuttosto naturale, presa e portata avanti con tutta la serenità possibile immaginabile (che poi ci credo, c’è ben di peggio che mangiare vegetale un mese, tipo non mangiare per un mese, voglio dire).
Per chi fosse nuovo da queste parti, seguirà un breve excursus delle mie parentesi alimentari perché può essere utile per spiegare come, in realtà, quella vegetale sia per etica la direzione alla quale naturalmente tenderò sempre, ma anche come la via nel mio caso la via possa nascondere un po’ di difficoltà e ostacoli. E quindi continuerò a volerci tornare, ma forse miei tempi e soprattutto la mia flessibilità.
un po’ della mia storia
Ho smesso di mangiare carne l’ultimo anni di superiori, a 19 anni, e dopo un annetto sono finalmente riuscita a eliminare anche il pesce (non che a casa mia se ne mangiasse molto, ma ricordo come nel primo anno di università fosse a volte ciò in cui mi rifugiavo in una mensa universitaria piuttosto carnivora). Mi sono avvicinata ben presto alla questione animale e pian piano ho cominciato a ridurre sempre più anche i derivati, anche confrontandomi con mia sorella che era diventata vegetariana insieme a me e dopo poco aveva fatto il passaggio al veganismo.
Gli unici alimenti che mi impedivano di fare il passaggio completo ricordo fossero il gelato (che odiavo nei gusti frutta, e nel 2013 ancora le alternative vegetali alle creme non erano molto diffuse), ma, soprattutto, la pizza, che non riuscivo davvero a tollerare senza mozzarella. La mia preferita da bambina era addirittura la Biancaneve (solo mozzarella, a volte con l’aggiunta del salamino), e anche crescendo non era raro che scegliessi le opzioni a base bianca senza la salsa di pomodoro. Per cercare di aiutarmi a fare il salto completo partecipai nel 2013 a una sorta di Veganuary, un gruppo su Facebook in cui ci si sfidava a mangiare per 21 giorni vegano, con il supporto di persone che lo erano già e che erano pronte a dispensare consigli di vario tipo, da quelli culinari alla gestione dell’alimentazione in famiglia.
Al termine di quei 21 giorni ero ufficialmente vegana e per 4 anni e mezzo o poco più non ho toccato un derivato animale, non ho comprato pelle o prodotti che non fossero certificati cruelty free. Ho fatto molte vacanze mangiando completamente vegan, da Parigi, a Barcellona, alla Grecia, ho mangiato due anni alla mensa universitaria solo pasta o riso in bianco o al pomodoro con aggiunta dei legumi (che erano, naturalmente, considerati un contorno) senza che mi pesasse, perchè la mia motivazione era forte e non c’era la minima titubanza a non prendere in considerazione cibi animali, i quali all’epoca per me erano in tutto e per tutto dei “non-cibi”.
Non so dire esattamente come sia successo, ma a un certo punto mi sono trovata a sognare mozzarelle, burrate e stracciatelle di notte e a trovare invitanti i piatti a base di formaggi intorno a me e ad avere voglia di mangiarli, cosa che, in tutta onestà, non era mai successa negli anni precedenti, quando non potevo osservare un derivato animale senza associarlo alla sofferenza da cui proveniva. In poco tempo è diventato un pensiero fisso così decisi di provare a riassaggiare della mozzarella (se non sbaglio), convinta, o forse speranzosa, che l’avrei trovato strano, che non mi sarebbe più piaciuta o che mi sarei sentita così in colpa che non sarebbe più successo. In colpa un po’ mi ci sono sentita, ma mi sono anche sentita leggera mentalmente e appagata.
Da lì a poco, non senza arrovellamenti, sono tornata a reintrodurre formaggi e latticini e successivamente anche le uova (evento che è stato coronato anche dal ritorno del ciclo dopo anni e anni di assenza, il che mi convinse ancor di più che fosse la cosa giusta da fare per me, in quel momento).
È poi passato un altro anno finché io non decidessi di rimangiare del pollo (questo mi è costato un grande lavoro con la mia coscienza, ma di nuovo, altro non avevo fatto che assecondare una voglia che avevo), e in fine, anche se non era nei programmi perchè al contrario non era un alimento che desideravo, nel 2020, in piena convivenza con persona onnivora durante la quarantena, riassaggiassi anche della carne rossa. Per poco meno di due anni sono quindi stata di nuovo in tutto e per tutto onnivora, anche se di carne ne ho sempre mangiata ben poca: non avendola mangiata per così tanti anni non faceva parte delle mie abitudini e in realtà, a parte poche eccezioni, che possono essere enumerate in hamburger di manzo, bacon, qualche salume e il pollo (ma meglio se impanato o comunque ben insaporito), neanche mi piaceva.
A Febbraio del 2022 ho mangiato la mia ultima schiacciata con un affettato. È successo di nuovo in modo del tutto naturale, ho cominciato a trovare impossibile mangiare carne o prodotti lavorati derivati senza ricollegare quello che avevo nel piatto all’animale e ho deciso di smettere di ignorare questo fastidio che provavo. Mi sono quindi resa conto che nel periodo in cui avevo ripreso a mangiare in particolar modo la carne sono riuscita a farlo scacciando pensieri di colpa e responsabilità, che pur avevo, sapendo benissimo cosa c’era dietro a ciò che mangiavo e avendone sentito il peso per anni.
L’ho fatto perché mi faceva sentire serena non dover limitare le mie opzioni di scelta, perché avevo scoperto il piacere di non sentirmi più quella diversa o quella bisognosa di un trattamento speciale, perché non volevo più dare spiegazioni, e perché forse per la prima volta sentivo di avere un rapporto sereno e non controllante con il cibo (dopo anni in questo senso turbolenti) e volevo sfruttare questo raggiungimento non privandomi più di niente.
Perché sì, sono stata vegana ma in quegli sono stata anche mezza crudista, “raw til 4″, high carb-low fat e poi quando ho cominciato ad andare in palestra ho anche seguito per un po’ una dieta iperproteica molto bassa prima in grassi e poi in carboidrati. Io nella mia vita avevo mangiato davvero per poco tempo in modo libero dal controllo. E poter ordinare ciò che davvero mi andava, senza calcoli o senza pensieri intrusivi mi sembrava la cosa più bella del mondo -ecco perchè voglio essere una dietista anti-diet! :)-.
Per mia fortuna però ho una coscienza e non sono riuscita a lasciare al di fuori dalle mie scelte tutte le ripercussioni che ciò che si sceglie di mangiare hanno sull’ambiente, sulla salute e ovviamente sugli animali.
Quindi sono tornata spontaneamente a virare sempre di più su scelte vegetali, consumando quasi sempre plant-based quando mi trovavo a casa e appigliandomi (troppo) spesso ai formaggi quando mi trovavo fuori.
Intendiamoci, io amo i formaggi e i latticini. Tutti, indistintamente, da quelli freschi a quelli più stagionati, da quelli più delicati a quelli puzzolenti. Non è un sacrificio per me mangiarne ma sono anche una dietista (l’ho detto!), sono consapevole delle frequenze in cui dovrebbero essere consumati e, soprattutto, anche la cosa più buona del mondo se mangiata spesso perde il suo fascino.
Una delle motivazioni principali per cui ho voluto intraprendere questo Veganuary era anche quella di provare a vedere se sarei riuscita a stare un mese senza latticini senza avere crisi di astinenza e come avrei affrontato di conseguenza le occasioni sociali, se e quanto la loro esclusione mi sarebbe pesata anche in relazione all’alternativa plant-based proposta (o non proposta).
E non è andata male, non ho sperimentato grandi mancanze, soprattutto mangiando spesso a casa e avendo a disposizione tanti ingredienti comprese le alternative vegetali al formaggio (per me imprescindibili, sincera). Mi è anche capitato di mangiare alcuni prodotti di dubbia qualità come ad esempio i cornetti vegani per colazione, presi in due posti diversi e uno più deludente dell’altro. Ho mangiato una marinara (ahi ahi) perchè non volevo rinunciare a un invito ma era la sola opzione disponibile. Mi è capitato una volta di avere voglia di non essere limitata dalle opzioni disponibili al momento dell’ordine e ho ordinato un piatto con dello yogurt, fatto magari banale su cui poi ho riflettuto profondamente in seguito.
E da oggi?
Si può dire che abbia incontrato le difficoltà che per tutti si presentano quando intraprendono un cambiamento, di qualsiasi tipo sia, ma non è questo un motivo per lasciare che tutto il resto del percorso ne venga inficiato.
L’intenzione è quella di proseguire in questa direzione il più possibile, fintanto che questa scelta è sostenibile con il mio benessere psicologico, è l’unico che forse potrebbe risentirne.
Quello che mi prefiggo è che quella di magiare vegan rimanga una decisione. Voglio, ogni giorno, ad ogni pasto, scegliere di cucinare, ordinare, acquistare un piatto o un prodotto vegetale e di escludere ciò che non lo è.
Non voglio che sia mai vissuta come un sacrificio, un’imposizione sofferta per dimostrare qualcosa a qualcuno, una rinuncia. Finché questo requisito sarà rispettato, non avrò difficoltà a far incontrare le mie preferenze con quello che ritengo più giusto.