“Più che una vacanza è stata un’avventura“.
E’ stata questa la mia risposta più frequente quando mi è stato chiesto come fosse andato il mio viaggio a Napoli. Ma non sarei io se non mi portassi dietro in valigia il mio accalappia-sfighe. Tra un car sharing mai riuscito a usare e due cauzioni perse, una linea metro chiusa nel giorno esatto (nonché l’unico) in cui avevamo pensato di prenderla per andare a Posillipo e un piano B rivelatosi fallimentare per anticipata chiusura del luogo della visita di ripiego, ma soprattutto un ritorno da POSITANO A SALERNO IN TAXI e non certo perchè ci andava di fare le nababbe ma perché abbiamo perso l’ultimo pullman di ritorno dopo aver scalato il paese fin sull’estrema vetta insomma, non che avessi mai pensato che avremmo trascorso una vacanza rilassante, ma ecco, neanche che saremmo tornate a casa più stanche di prima.
Tutto ciò meriterebbe un racconto orale più dettagliato, ma qua vogliamo soprattutto parlare delle cose belle, e quindi, il cibo.
Nah, bugia, non penso assolutamente che a Napoli ci si vada solo per mangiare, ed è proprio così che abbiamo voluto affrontare questo viaggio (il primo per entrambe nel capoluogo campano): un tour a trecentosessanta gradi, dalle zone più diffamate ai luoghi più pittoreschi passando ovviamente dal cibo tradizionale, parte integrante della cultura partenopea, senza volerlo rendere il centro del nostro interesse ma al contempo ritagliandoci le occasioni per assaggiare tutto ciò che ci incuriosiva e che volevamo conoscere più da vicino.
Complice il fatto di essere andate nei giorni più caldi di quest’estate (ancora non mi è scomparso il segno dei sandali dal dorso del piede…) non è sempre stato facile affrontare cibi fritti o pizze roventi: qualcosa ci è toccato lasciarla da parte, ripiegando su soluzioni più fresche e leggere che rispondessero ai nostri bisogni e non esclusivamente a ciò che qualcuno si aspetta da una persona che si reca in visita a Napoli.
Abbiamo suddiviso la vacanza in due parti, cinque giorni a Napoli di cui in visita uno a Sorrento e tre con base a Salerno per vedere la città e raggiungere (nelle nostre idee iniziali, almeno) più rapidamente e facilmente Amalfi e Positano.
E’ stato un viaggio, nonostante le disavventure, interessante sotto diversi punti di vista: vivere un ambiente tanto diverso dal mio (quello attuale sicuramente, ma anche quella in cui sono cresciuta, nonostante sia stata a suo modo vivace e ugualmente folcloristica) ma soprattutto lo spaccato tra le due realtà di Napoli è stato emozionante ma spesso anche disturbante. Diverse volte sono rimasta senza parole. Alla vista dall’alto dal parco di Capodimonte, elegante e maestoso, ai bambini in motorino (nel senso, più d’uno su uno stesso motorino) dei quartieri spagnoli. Se la si ama o la si odia io probabilmente sto ancora cercando di capirla. Caotica, chiassosa, scalmanata ma anche divertente, artistica, vera.
Mille colori, ma anche una carta sporca.
Cercherò di ripercorrere in breve le nostre tappe culturali per poi passare al lato mangereccio, lasciandovi i miei suggerimenti rispetto a ciò che vale la pena e a ciò che si può -a mio avviso- evitare.
portami direttamente a Salerno!
Napoli
Giorno 1 – arrivo
Partite prestissimo da Torino arriviamo -molto affamate- a Napoli intorno alle 14.30 con il check-in da fare e le valigie da lasciare. Il nostro host si rivela più premuroso (e prolisso) di quanto non ci aspettassimo e quando finalmente ci liberiamo sono già le 16: la nostra confusione su quale far essere il nostro primo pasto nella città dello Street Food è martellante. Dovremmo optare per un gelato vista l’ora? Però non abbiamo pranzato, l’appetito è di un certo livello e forse abbiamo bisogno di qualcosa di più consistente, ma cosa? Una pizza? Dei fritti? L’afa rende difficile pensare di mangiare qualcosa di rovente e tutto ciò di cui avremmo voglia è un frutto succoso o qualcosa di molto fresco. Decidiamo di metterci in cammino e di vedere cosa succede strada facendo, mentre io consulto la mia cartella instagram sui posti salvati e faccio mente locale su quelli consigliati direttamente a me o visti in post/video vari su Napoli per capire se di quelli ce n’è qualcuno nei paraggi. Procedendo per via dei tribunali ci ritroviamo in Via Benedetto Croce e ci imbattiamo ne La Passione di Sofì: fantastico, questo l’ho sentito nominare, mi pareva fosse buono, dalle foto di Google pare facciano il cuoco di pesce, daje, che famo l’accendiamo?
E qua si verifica la prima della nostra lunga serie di sfighe: a quanto pare il cuoppo di mare non lo fanno (più?). Delusissime ci consultiamo e stabiliamo che abbiamo troppa fame e ci facciamo andare bene il cuopp’ e terra. Sarà che i fritti ci sono stati serviti freddi (e okay che c’erano 38 gradi all’ombra ma già che siamo a fare le cose le vogliamo fare bene?) ma nessun elemento che lo componeva (zeppole, frittate di pasta, crocchette di patate) ci ha entusiasmato particolarmente.
Piene come un uovo decidiamo di buttare giù le frittelle camminando per il lungo mare fino a Castel dell’Ovo, per richiamare la condizione del nostro stomaco. Passiamo quindi per Via Toledo, piazza del Plebiscito, Galleria Umberto I, il Maschio Angioino, insomma, ci facciamo un bel giretto panoramico fino ad arrivare all’ora di cena, orario in cui ovviamente non avevamo ancora buttato giù niente della nostra merenda fritta.
Decido allora che forse è arrivato il momento di un gelato.
Il nostro primo giorno è andato così, con un Cuoppo nel pomeriggio e una bella coppetta di gelato da chi altri se non da Mennella?
Non essendomi mai più venuta veramente fame ho optato per gusti semplici e freschi: yogurt (cremosissimo), gelsi neri del Vesuvio e Crema Mennella alle arachidi e qui capisco il perché della sua ottima reputazione. Essendo mantecati al momento risultano veramente morbidi e leggeri, come se contenessero un chilo di panna (e invece molti riportavano la dicitura “light” perché privi o basso contenuto di materia grassa!).
Giorno 2
Per la colazione del secondo giorno non avevo alcun dubbio: il celeberrimo e rinomatissimo fiocco di neve di Poppella doveva essere mio. Una piccola pallina di pasta brioche soffice ripiena di una candida crema voluttuosa ma leggera al tempo stesso. A quanto pare l’esatta identità degli ingredienti che la compongono è contornata da un alone di mistero ma il cuore del fiocco di neve consisterebbe di una delicata crema a base di ricotta e panna. Provata in questa sede anche la nostra prima (di tante) sfogliatella riccia, di dimensioni decisamente importanti, pienamente soddisfacente. Uno scontrino non più esile ma per l’esperienza (con tanto di coro angelico al morso del fiocco in sottofondo) si può dire più che accettabile.
Da qui la nostra visita si è rivolta verso il Rione Sanità, quartiere natìo niente popò di meno che di Totò, conosciuto insieme ai Quartieri Spagnoli per essere piuttosto movimentato, ecco, una parte della città particolarmente fertile per la malavita. Una foto al Palazzo dello Spagnolo e poi su, sempre più su, in un’estenuante ascesa al Parco di Capodimonte, senza acqua e con 40 gradi all’ombra. Ma la fatica è stata ripagata tutta, non c’è che dire. Lo spettacolo che abbiamo trovato lassù è stato notevole. Un giardino perfettamente curato e una vista mozzafiato sulla città.
Da lì abbiamo notato un puntino lontano in alto, e ci siamo chieste cosa fosse. E’ bastato pubblicare una foto del panorama perchè i miei followers mi illuminassero la via: avevamo deciso, il pomeriggio avremmo visto Napoli dall’alto ma dal lato esattamente opposto, dal Castel Sant’Elmo.
Per ricaricarci dopo la scarpinata ma anche per caricarci in vista della successiva a pranzo, riscendendo, la nostra tappa non poteva che essere Starita a Materdei, in cui ci eravamo imbattute nella risalita. E’ più unico che raro che mangi pizza a pranzo e altrettanto raro è che sia tentata dalla pizza rossa. E per rossa intendo senza mozzarella, che mi ero già obbligata abbastanza a farmi andar giù durante i cinque anni da vegana, io che per anni da piccola ho mangiato la Biancaneve con SOLO mozzarella, e che nel menù finisco sempre per essere orientata verso quelle senza salsa. Invece quel giorno le mie voglie urlavano chiaro e forte una sola cosa: MARINARA STARITA. Ok, è vero, non si può considerare una vera marinara per la presenza di parmigiano ma la straordinarietà dell’evento non perde certo di importanza. Sapete, non sono neanche tipa da pizza napoletana (non che non mi piaccia intendiamoci, ma non è neanche la mia tipologia preferita) a dirla tutta, non se non ha un metro di cornicione ed è eccessivamente sottile. Io quindi non lo so che cosa sia stato, se il fatto che avessi veramente voglia di quella (e si sa, quando hai la possibilità di assecondare immediatamente le tue voglie godi molto di più pur trattandosi dello stesso cibo che mangi in un momento in cui non ti va più di tanto), la salsa, l’acqua che usano per l’impasto (ho sentito pure questa, mi fa un po’ ridere però) ma me la sono mangiata proprio con gusto. Leggera lì per lì a lasciarsi finire -un po’ meno a farsi digerire però-, saporita ma non eccessivamente salata, oh, io la mancanza della mozzarella non l’ho sentita.
Di ritorno dalla mangiata abbiamo allungato la strada in modo da passare da Via San Gregorio Armeno, la via dei presepi, senza dubbio una delle attrazioni turistiche più conosciute e apprezzate dalla città. Da Maradona a Pino Daniele, fino a Papa Francesco e ai politici di oggi, non manca proprio nessuno.
Essendo quel giorno evidentemente in vena di salite, il pomeriggio abbiamo affrontato l’altra importante scalata, quella a Castel Sant’Elmo appunto. Suggestivo sia il percorso che la veduta finale. Molte categorie di persone possono godere del biglietto ridotto, vi consiglio di approfittarne perchè assieme alla visita della mattina resta sicuramente uno degli scenari più breath-taking del capoluogo campano. L’itinerario ha poi previsto la discesa dalla collina del Vomero passando per i Quartieri Spagnoli per risbucare poi in Via Toledo, esperienza forse maggiormente esemplificativa di quel cambio di scenario quasi inconcepibile che si viene a creare inoltrandosi in una strada o girando un angolo piuttosto che un’altro.
Dopo una breve rinfrescata, incerte su dove consumare la nostra cena ma piuttosto sicure di avere voglia di qualcosa a base di pesce siamo partite all’avventura decidendo che ci saremmo fermate laddove saremmo rimaste ispirate. Beh, quella sera, per un mix tra location dal design moderno e accattivante e menù stuzzicante ha vinto Colapesce: tra insalate, frittini e panini di mare, la nostra scelta è ricaduta su questi ultimi. Alici fritte, provola affumicata e pesto per me, tonno ricotta e cipolla in agrodolce per Anna con le immancabili chips ad accompagnare, tutto promosso a pieni voti (con una piccola preferenza per il panino che non era il mio…).
Non contente, ci siamo fermate a una gelateria a pochi passi da casa per concludere in bellezza, la Gelateria Valenti. Con una buona crema ai sapori di costiera ma un pistacchio non pervenuto, ahimè, non si qualifica per le finali.
Giorno 3
Il giorno 3 non poteva partire in maniera migliore: con un bello scontro diretto tra La Riccia e La Frolla, appena sfornate, ancora calde per il duello in corso. Mi duole informarvi che un vincitore io però non sono riuscita a decretarlo. No, mi dispiace, non credo di appartenere a nessun team. Entrambe hanno qualcosa di speciale che rende impossibile prescindere dall’esistenza dell’una o dell’altra. Oh poi sfido voi a prendere una decisione quando in mano hai le sfogliatelle tiepide di Attanasio, pasticceria storica rinomata proprio per questi piccoli (più o meno…) gioielli ripieni di crema di ricotta e semolino. Tanto conosciuta e frequentata sia da gente del posto che da turisti che la coda all’entrata è una presenza fissa nonostante non ci siano posti né all’interno né all’esterno per poterle consumare comodamente, cosicché tocca o portarle a casa o divorarle in piedi nei pressi del locale o della stazione lì vicina. Nonostante questa piccola mancanza (che dopotutto fa parte dell’esperienza complessiva) ho finito dichiarandomi super partes e amandole inaspettatamente (i canditi, sapete…) ambedue.
Dopo la sostanziosa colazione ci siamo dirette alla volta di Sorrento, che abbiamo raggiunto con la circumvesuviana, per goderci accanto a tutto quel sole finalmente anche un po’ di mare (sarebbe stata poi la prima e una delle rare volte che avremmo visto il mare…).
Un’ora di treno -ovviamente- con la mascherina e senza aria condizionata, un litro di liquidi in meno all’arrivo ma sono sopravvissuta. Caffettino in Piazza Tasso, un paio di lettini nello stabilimento più facilmente raggiungibile e un paio di tuffetti e dopo poco si è fatta ora di pranzo. La scelta, che è stata inizialmente obbligata perché nel mentre che decidevamo dove mangiare si era fatta una certa e la maggior parte delle cucine avevano chiuso, si è comunque rivelata vincente: da O’ puledrone abbiamo mangiato gnocchetti e risotto alla pescatora con crostacei e molluschi freschi a un prezzo tutto sommato ragionevole per il luogo in cui ci trovavamo. Dopo aver girato e apprezzato la cittadina della Costiera e i suoi colori abbiamo riaffrontato quindi l’impresa Circumvesuviana per far ritorno all’appartamento.
A questo mancava UNA COSA FONDAMENTALE da provare ancora: la pizza fritta. Per questa ci siamo basate un po’ sulle recensioni che abbiamo trovato online (che abbiamo notato spesso basarsi più sulla fama del posto che sull’effettiva qualità del prodotto…) sia sulla vicinanza del luogo, così abbiamo deciso di dare una chance all’ Antica Pizza Fritta da Zia Esterina Sorbillo che si trovava a pochi passi da dove alloggiavamo.
La scelta è limitata a 2-3 farciture, abbiamo optato per la classica con ricotta e ciccioli. Non eravamo molto affamate, quindi abbiamo deciso di cominciare dividendocela non sapendo quanta pesantezza aspettarci. In realtà, abbiamo quasi avuto il problema inverso: la pizza risultava persino poco farcita rispetto a quelle che sono le sue dimensioni finendo per far “collassare” l’impasto e tra il ripieno di ricotta e il sapore di frittura, il tutto assumeva un sapore quasi dolciastro.
Nessuna delle due ne è rimasta pienamente convinta, ma avremmo poi scoperto che non è la pizza fritta a non piacerci in generale, ma proprio quella a non averci fatto impazzire. Vederla preparare e friggere sotto i nostri occhi però, è stato uno spettacolo paragonabile alla vista da Castel Sant’Anselmo.
Giorno 4
Il quarto giorno è stato prevalentemente mangereccio. La città è stata punto di ritrovo con due amici di Bari che hanno fatto tappa in giornata, e non essendo la visita turistica lo scopo principale ci siamo limitati a un giro del centro passando da luoghi già visti. Per la colazione stavolta il prescelto è stato Cuori di sfogliatella, pasticceria che propone sfogliatelle a vari gusti, anche particolari (tipo pandistelle, cocco, frutti di bosco…), e conosciuta soprattutto per il suo Konosfoglia, un cono di Riccia da farcire a piacimento. E cos’altro avrebbe potuto essere, se non ricotta, gocce di cioccolato, copertura al cioccolato e pistacchio in granella?
Nonostante il tema della giornata fosse la compagnia, non si può certo dire che il cibo abbia fatto solo da contorno. Il mio amico ha insistito affinchè pranzassimo da Vincenzo Capuano e una volta arrivata la nostra pizza al tavolo, ho immediatamente capito il motivo di tanta ostinazione. Mi sono spesso lamentata del poco appetito sperimentato in quei giorni soprattutto a causa dell’afa soffocante, ma quello è stato forse il giorno in cui ho rimpianto il fatto di non avere più stomaci a disposizione. Sceglierne una è stata impresa ardua, ma alla fine sono stata soddisfattissima della mia eletta, la Don Egidio, a base di crema di zucchine, fiori di zucchina, polpettine di zucchine e stracciatella (potete leggere l’intero menù qui).
Questa è la pizza napoletana che piace a me. Col cornicione immenso, alto non meno di due dita, morbido e rassicurante. Solo enormi sì a partire dall’impasto fino alla qualità dei condimenti e all’originalità delle proposte in carta.
Per la cena, finalmente è stato anche il momento del tanto consigliato Puok Burger, a detta di tutti tra le migliori Hamburgerie della città, se non la prima della lista. Ci sono due store, uno al Vomero e l’altro a Spaccanapoli, nessuno dei due ha però sfortunatamente locali interni adibiti al consumo né dehors esterni. Non alloggiando lontano, abbiamo deciso di ordinare il takaway e consumarlo in appartamento. Anche in questo caso la fantasia nei condimenti non manca, così come versioni più classiche (come il cheese-bacon burger). La mia scelta è ricaduta sull’Aegon Targaryen: crema di parmigiano, zucchine fritte, crema di zucchine al forno, provola affumicata. Al momento non è disponibile ma ho visto che ogni tanto ritornano, non demordete! Ve lo auguro perché era davvero squisito ma sono sicura che non farete fatica a trovare un’alternativa altrettanto goduriosa. E anche questo, promosso a pieni voti.
Giorno 5
Ok, questo è forse stato il giorno più sfortunato dell’intera vacanza (se la batte in effetti col ritorno in taxi da Positano): per ragioni che esulavano totalmente dalla nostra volontà ma piuttosto per inaffidabilità di mezzi e informazioni su aperture e chiusure non siamo riuscite a fare niente di ciò che ci eravamo prefissate, ma siamo finite a camminare per ore nel tentativo di raggiungere Posillipo prima (davvero infattibile a piedi sotto quel sole) e il Museo Virgiliano (chiuso, ovviamente), poi. Prese dalla disperazione per mancanza di mezzi per tornare indietro, troppo stanche per rifarla a piedi e con solo un tarallo sugna & pepe di Casa Infante nello stomaco, siamo comunque finite su un taxi piagnucolando di riportarci a casa. Almeno abbiamo avuto la fortuna di trovare finalmente Il Cuoppo aperto, e poterci prendere il tanto agognato cuopp’ e mare per quella che era ormai l’ora di merenda. Ma si sa che in vacanza non si bada ad orari.
Stanche e ustionate dalla passeggiata senza meta della prima parte della giornata decidiamo di raggiungere in metro il Vomero per cena, fare una giratina tranquilla e tornare a casa presto. AH! Povere illuse.
Ancora non sapevamo che la nostra serata rilassante si sarebbe trasformata nell’ennesima traversata della città.
Accaldate e un po’ sature di fritti, quella sera abbiamo deciso di fregarcene delle convenzioni e di prenderci ciò che davvero ci andava: una pokè.
Anche una buona pokè, oltretutto, consumata nella piazzetta centrale del Vomero. Andava tutto bene, finchè non abbiamo scoperto che per qualche motivo a noi ignoto l’estensione dell’orario di chiusura della metro del sabato sera (che doveva essere le 2) era stata momentaneamente sospesa. Bene, si torna a piedi! Vi dirò, a quel punto non eravamo neanche troppo stupite. Una scrollata di spalle, una risata sconsolata e ci siamo messe in viaggio. Come ricompensa per essere giunte a destinazione nonostante le gambe avessero minacciato di abbandonarci ci siamo premiate con un altro bel gelato di Mennella: stavolta albicocca, mennella rock e panna, con un assaggio del pistacchio consigliato effettivamente meritevole.
Giorno 8 (pre partenza)
Il giorno della partenza, dopo essere tornate da Salerno verso l’ora di pranzo, volevo dare una seconda chance alla pizza fritta. Tra le più raccomandate avevo trovato anche quella Isabella de Cham, classificatasi oltretutto tra i miglior pizzaioli dell’anno 2017 per 50 Top Pizza.
Il locale di Isabella si trova nel quartiere Sanità e si distingue per un look chic e un arredamento essenziale e per niente folcloristico, dai toni del bianco e del nero, che ho trovato un po’ impersonale. Qualche incomprensione con le ordinazioni e l’estrema lentezza del servizio (siamo arrivate all’apertura e siamo state solo noi due quasi fino al termine del pasto) non mi fa attribuire i pieni voti ed è un peccato perchè la pizza fritta la Isabella me l’ha fatta rivalutare eccome. Questa era bella croccante, sapeva meno di “solo fritto” (probabilmente anche perchè eravamo le prime della giornata e l’olio era nuovo?) ed era incredibilmente leggera. Ma le frittatine di pasta, ah le frittatine. Con quelle è stato un vero e proprio colpo di fulmine. Da provare: la Nerano con zucchine e provola e la Parmigiana.
Oltre a questo la carta propone anche montanarine a diversi gusti e udite udite, anche la possibilità di avere la propria pizza fritta in versione vegana con tanto di formaggio vegetale. Sperando sia stata una defiance isolata, io a fare incetta di frittatine e provare tutto ciò che non ho provato ci tornerei eccome.
Essendo a pochi passi da Poppella non era possibile partire senza salutare anche gli indimenticati fiocchi di Neve. Ahimè, me la son giocata male quell’ultima possibilità. Avrei potuto rimanere fedele al classico, apprezzatissimo, e invece ho ceduto alla curiosità che spesso mi frega, preferendogli l’assaggio di un gusto nuovo. Oh, non è che quello al cioccolato fosse una punizione, ma niente a che vedere con la sua versione candida e pannosa.
Promossi
- La pizza di Vincenzo Capuano
- Il fiocco di Neve (bianco) di Poppella
- Le sfogliatelle di Attanasio
- I panini di Colapesce
- Puok Burger
- Il gelato di Mennella
- La pizza (senza mozzarella!) di Starita
- Hello Pokè
- Cuori di sfogliatella
Rimandati
- Isabella de Cham (solo per il servizio!)
- Il cuoppo di mare de Il cuoppo (avrei preferito più varietà invece erano praticamente solo alici!)
- Il fiocco di neve (al cioccolato) di Poppella
- Il babamisu di Pasticceria Leopoldo (pesantuccio e ridondante nel complesso, ma mi ha fatto scoprire che mi piace il babà)
- La pizza fritta di Zia Esterina Sorbillo
Bocciati
- Il cuoppo di terra de La passione di Sofì
Salerno
Salerno ci ha veramente stupito in positivo. Non sapevamo cosa aspettarci e rispetto al capoluogo abbiamo trovato una città più tranquilla e pulita oltre ad essere davvero carina artisticamente parlando: tanti gioiellini da scoprire ma anche posticini carini dove mangiare. Piuttosto che raccontare nel dettaglio lo svolgimento delle giornate mi limiterò a consigliare ciò che più ci è piaciuto, sul piano cibo ma non solo.
El Salvador Ristorante Messicano posto molto carino con un bello spazio esterno, situato in una delle strade principali della città, praticamente a due passi mare. Il menù è un po’ il solito di tutti i messicani ma per qualità del cibo e atmosfera la sera è stata molto piacevole. Immancabili nachos (qui dall’aspetto artigianale) e sangria, che sono state accompagnate da un burrito e delle alette di pollo con riso basmati. Prezzi forse addirittura sotto la media dei ristoranti messicani del Nord Italia.
Toc Toc ci ha salvato la cena ben due volte. La prima volta dopo essere tornate alle 22 passate dalle nostre (mal)avventure Positanesi e dovevamo sì sfamarci, ma anche affogare i nostri dispiaceri in qualcosa di estremamente porcoso. E poi la sera successiva, quando potevamo scegliere qualsiasi posto e invece il nostro cuore ci ha riportato lì. Toc Toc è ciò che potrebbe essere considerato un risto-pub: da una parte una vastissima collezione di gin (la più numerosa di tutta la città) da impiegare nei suoi cocktail d’autore, dall’altra la cucina che non ricopre certo un ruolo secondario ma è curata dallo chef Marco Santoro e propone diverse opzioni tutte molto stuzzicanti e rigorosamente non light per la cena, dagli hamburger (sia di pesce che di carne) ai fritti di vario tipo. In due sere abbiamo infatti avuto modo di avere una panoramica piuttosto completa, passando dai panini alle frittatine di pasta al loro celebre crocchettone, il crocchè napoletano in versione giga (20cm di roba!) con varie farciture.
Per la colazione (e non solo!) posticino da segnalare è Giallo Limone, senza dubbio tra le gelaterie migliori della città e ahimè tra le poche a non offrire gusti super pasticciati a tutte le merendine + 1 ma a porre particolare attenzione alla qualità e alla naturalità del prodotto. Oltre a coni e coppette per gustare il loro gelato potete trovare le brioche di produzione propria, da accompagnare anche con le loro granite oppure con la ricotta fresca e le gocce di cioccolato.
Come attività da svolgere rimanendo nel centro storico assolutamente consigliata la visita al Giardino della Minerva, orto botanico con più di 250 specie di piante organizzate all’interno del parco secondo i criteri della medicina galenica, fondata sulla dottrina degli umori (flemmatico, collerico, sanguigno e melanconico, in diretta correlazione con uno dei 4 elementi) e quindi in base ai loro poteri curativi rispetto alle patologie da cui il corpo viene affetto qualora ne prevalga uno. Il biglietto intero costa solo 3.50€ e all’interno del giardino si può trovare anche una tisaneria con vari gadget gastronomici e non ispirati alla teoria degli umori.
Non molto lontano da Salerno si trova anche Paestum con i suoi templi, raggiungibile in una quarantina di minuti dalla stazione di Salerno. In questo caso il biglietto d’ingresso era meno economico (13.50€, comprensivi però dell’entrata anche ai templi di Velia), perciò abbiamo deciso di accontentarci di guardarli da fuori. Di certo non sarà stato magico come camminarci attraverso, ma vi assicuro che è stato comunque suggestivo. C’era un po’ di coda, consigliabile l’acquisto del biglietto online!
Cercherò di non dilungarmi troppo su quella che è stata la nostra (brutta, purtroppo) esperienza con la visita a Amalfi e Positano, ma vi lascio con la raccomandazione di avere dei piani B per quel che riguarda il ritorno col pullman che copre la tratta della Costiera. Prendendolo presto al mattino al capolinea non abbiamo avuto problemi, ma al ritorno solo UNA persona della ventina di visitatori che lo stava aspettando alla fermata è riuscita a salire (ovviamente anche per riduzione dei posti assegnabili causa Covid). L’ultimo bus sarebbe stato un’ora dopo (alle 19.50) e noi l’abbiamo perso nel tentativo di raggiungere la fermata precedente (sperando in un mezzo quindi più libero) che però si trovava sulla vetta di Positano, dovendo fare km di scalini ripidissimi per arrivarci e finendo con un pugno di mosche in mano e il cuore in gola. Non abbiamo neanche potuto contare sull’ultimo traghetto come ultima spiaggia (il quale non sarebbe mai stata la scelta primaria considerandone i costi) perchè era ormai troppo tardi anche per quello. Tra il cercare una sistemazione per dormire -che non voglio neanche immaginare a quanto sarebbe ammontata-, dormire in spiaggia o cercare di ottenere che un taxi privato (grazie amici del bar di fronte che ci avete salvato il culo) ci riaccompagnasse a casa abbiamo tentato la terza strada. Dopo un piantino per quanto ci hanno chiesto abbiamo tirato un sospiro di sollievo per essere riuscite a trovare una soluzione e ci siamo godute il ritorno in taxi per la costiera che comunque oh, aveva il suo perchè!
Quindi sì, tutto bellissimo e da favola ma controllate benissssimo ogni orario e preparatevi dei piani B e C per ogni evenienza. Viste le brutte esperienze coi mezzi di trasporto vi direi proprio di prendervi una macchina a noleggio, se potete (…ma lasciate stare il car sharing con Amicar!).
Pur con tutti i problemi incontrati che non ci hanno fatto godere a pieno l’esperienza scorrendo le foto e scrivendo questo post a distanza di mesi mi ha assalito una nostalgia unica. Napoli, mi hai fatto un po’ girare le palle ma tornerei anche domani ♥